Quale lato della medaglia vogliamo vedere in questa esperienza in qualità di educatori? Propongo di iniziare da quello positivo, dalle loro voci, quelle dei bambini e dei ragazzi che popolano lo spazio scolastico e che dallo scoppio dell’emergenza COVID 19 hanno occupato un periodo quanto mai sbandato, incerto, flessibile, allungato, accorciato, invadente e – perchè no? – anche intrigante, come tutto ciò che si veste di nuovi misteriosi indumenti e proprio per questo attraenti… o persino… repellenti.
Noi docenti indaffarati a inventarci soluzioni, pronti ad accelerare la pratica del problem solving e dell’autoformazione a caccia della migliore piattaforma, pur di non perdere il contatto con i ragazzi e l’orchesta di obiettivi, contenuti, attività e verifiche. Perchè siamo, nell’umiltà del mestiere e nell’audacia delle finalità pedagogiche, le colonne del sistema educativo e formativo nazionale.
E loro?
Il 5 maggio scorso il New York Times dedicava un articolo firmato da Veronique Mintz all’apprendimento a distanza nel sistema scolastico americano durante l’attuale pandemia: “Why I’m learning more with distant learning than I do at school”.
È il racconto di una tredicenne che nella assoluta negatività del momento scopre qualcosa di positivo nel rifugio della casa e nella tana del personale spazio scolastico garantito da una piattaforma capace anch’essa di trasportare contenuti sfumati in emozioni e relazioni tradotte in attività disciplinari.
Wow! Che gioia! Sì, perché spesso – racconta – le lezioni in presenza venivano disturbate dal vociare degli indisciplinati, da episodi di mancanza di rispetto nei riguardi dei docenti, insomma dai comportamenti che caratterizzano soprattutto la prima fase dell’adolescenza.
Cosa? Possibile? Come è possibile pensare che la virtualità superi in efficacia la realtà vera, il face-to-face, la presenza dei corpi che dialogano e si fronteggiano in quello che può essere un gioco che i docenti vogliono vincere per far vincere loro, gli studenti, nelle sfide della vita?
Eppure abbiamo scoperto anche questo, che gli ambienti virtuali possono essere divertenti ed attraenti più delle lezioni in classe, nonostante queste siano ormai ampiamente arricchite dall’apporto della multimedialità.
Ma quello della ragazzina statunitense è un pensiero isolato? Ho voluto chiedere ad alcuni giovanissimi studenti italiani cosa ne pensassero e …udite, udite…
Penso che la scuola online sia molto buona per arricchire le conoscenze tecnologiche, per potersi alzare più tardi al mattino e per avere più tempo per giocare. Ma un aspetto negativo è non potersi confrontare con i compagni. Ora però so usare molto bene il computer a scopi di istruzione. Ci divertiamo coi compagni perché facciamo ricerche che mostriamo durante le lezioni tramite un’estensione. Penso che in futuro la scuola dipenderà di più dalla tecnologia perché i ragazzi hanno imparato ad usarla molto di più che in passato. (Lorenzo)
Lorenzo è un ragazzino iperattivo il cui profitto scolastico è migliorato nei mesi del lockdown proprio perchè le piattaforme informatiche aiutano la concentrazione.
Ma è sempre così? Nella maggior parte dei casi i ragazzi apprezzano l’opportunità delle classi virtuali per poter continuare ad imparare, per mantenere il proprio tempo pieno e rendere la vita il più possibile simile a quella vissuta fino al 10 marzo, data di inizio del lockdown italiano.
Ma avvertono la mancanza dei loro compagni di classe, dei docenti, di cui apprezzano la dedizione. Non vedono l’ora di tornare alla normalità, ma hanno acquisito nuove competenze che non vogliono lasciare alle spalle e sono convinti, come Lorenzo, che il mondo dell’istruzione aumenterà l’uso delle tecnologie informatiche rinnovando la struttura delle lezioni con un maggiore utilizzo delle modalità flipped classrom e condivisioni di materiali da loro stessi prodotti.
Siamo tanto ingenui da ritenere di aver trovato la lampada magica di Aladino? Certamente no. Le variabili sono tantissime e l’attuale emergenza ha evidenzato, anche nelle classi virtuali, i frantumi prodotti dalle politiche di austerità che hanno colpito il già precario welfare italiano e al suo interno la scuola. Le classi pollaio sono ingestibili in presenza, ma ancora di più nelle classi virtuali.
E quindi la virtualità ha messo in evidenza in maniera drammatica che per recuperare il senso del fare scuola è necessario tornare a classi gestibili in cui ogni singolo ragazzo e/o ragazza siano pienamente il centro dell’azione didattica in un processo plurale di interazione positiva.
È d’altronde necessario partire dalla scuola per creare condizioni di pari opportunità anche attraverso maggiori competenze informatiche che vanno impartite a tutti. Anche questo abbiamo compreso tramite l’emergenza COVID 19: che il computer non è a disposizione di tutti i ragazzi e che saper usare il cellulare per i video giochi è altro rispetto a possedere un computer per attività di ricerca e per potersi interfacciare con il mondo.
Comprendiamo quindi che non possiamo fare alcun passo indietro – anzi dobbiamo farne in avanti – nella lotta per le pari opportunità nell’approccio ai saperi e nel loro utilizzo.
Esiste però un’altra sfida altrettanto drammatica e cogente: non solo la scuola non può fare a meno del contatto fisico per educare e sviluppare intelligenze e competenze emotive e sociali. La scuola deve promuovere il pensiero creativo e divergente, l’approccio critico alle fonti e ai fatti, compensando in direzione opposta quella che potrebbe profilarsi come la deriva verso società dominate dalla tecnica, aride ed eterodirette.
Mimma Dragone
L’autrice
Mimma Dragone
Nata a Taranto e laureatasi in Lingue e Letterature Straniere Moderne presso La Sapienza di Roma, Mimma Dragone ha mantenuto costante l’interesse verso le tematiche didattiche e pedagogiche. Ha frequentato corsi di metodologia didattica all’estero e si è specializzata in Comunicazione Educativa e Didattica presso l’Università di Bari oltre che nell’insegnamento delle Lingue Straniere presso l’Università di Urbino.
A causa del suo interesse verso “l’universo bambini” è stata attiva in diverse associazioni di volontariato in favore dell’infanzia e dei soggetti minori in generale. Per tale motivo ha anche conseguito la qualifica di operatrice psicopedagogica. Dopo anni di insegnamento in alcune scuole secondarie superiori di Taranto, continua il suo impegno professionale come esaminatrice Cambridge.
Bellissimo articolo. Complimenti all’ autrice. 🙂